In Germania i piloti stanno bloccando i rimpatri: 222 casi secondo il governo

Secondo “Infomigrans“, il sito creato da un network di agenzie stampa a livello internazionale (tra cui l’Ansa), “in Germania i piloti stanno bloccando le deportazioni programmate dei richiedenti asilo a cui è stata rigettata l’istanza. Al tempo stesso, i rifugiati stanno facendo appello contro il rigetto con numeri record – e stanno vincendo”.

Secondo i dati del governo, sarebbero stati bloccati 222 voli: secondo la stampa i piloti non vorrebbero esser coinvolti in una questione ritenuta controversa coinvolgendo anche persone venute dall’Afghanistan. Ben 85 di queste azioni di protesta verrebbero proprio dalla compagnia di bandiera, la Lufthansa e la controllata Eurowings. Circa 40 casi si sono verificati all’aeroporto di Dusseldorf ma la maggior parte, 140, hanno avuto luogo a Francoforte. Continua a leggere

Netanyahu non riceve ministro degli Esteri tedesco: “Incontra gente che criminalizza i nostri soldati”

Se sei un diplomatico o un esponente del governo e ti trovi in visita in Israele, ti conviene evitare di programmare incontri con organizzazioni sgradite al governo. Siamo nell’unica democrazia del Medioriente, certo, ma ai suoi democratici governanti non piace troppo avere l’opposizione tra i piedi. E’ questo il motivo per cui il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha annullato all’ultimo minuto l’incontro previsto con il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel. Quest’ultimo, infatti, nel corso della sua missione diplomatica nel Paese iniziata lunedì e volta a promuovere la soluzione dei due stati nell’ambito del conflitto israelo-palestinese, aveva in agenda, tra le altre cose, anche una riunione con gli ex militari di “Breaking the Silence”. Ma la reazione non si è fatta attendere. Continua a leggere

Germania, 78 miliardi per i richiedenti asilo: insegnargli il tedesco e trovargli un lavoro

In Germania, in un anno, i richiedenti asilo che hanno ottenuto benefit sono stati ben 975mila, in aumento del 169%, per una spesa totale di 5,3 miliardi di euro nel 2015, praticamente raddoppiata rispetto all’anno precedente quando la cifra si era fermata ai 2,4 miliardi. Una cifra enorme e che esclude, peraltro, tutti coloro che hanno ricevuto già lo status di rifugiato, anche dovuta al fatto che “solo un’esigua minoranza del milione di persone entrate nel paese l’anno scorso ha trovato un lavoro”, secondo il “Sole 24 ore”, che ha pubblicato l’indagine con i dati in questione. A ricevere i benefici sono soprattutto uomini (67%) giovanissimi (25 anni l’età media), mentre appena il 30% della cifra complessiva è stata utilizzata per assistenza ai minori. Trova conferma, dunque, l’impressione che le famiglia in fuga dalla guerra non compongano la fetta più consistente di questa ondata migratoria ininterrotta.

Nel frattempo, grandi aziende del settore automobilistico hanno reso noto che i programmi di formazione dedicati agli immigrati, promossi dalla Merkel, sono andati bene. Così la Daimler, che aveva dato vita a tirocini (finanziati per metà con soldi pubblici tedeschi) di 14 settimane per quaranta richiedenti asilo, tra i 20 ed i 51 anni, provenienti da Afghanistan, Eritrea, Gambia, Nigeria, Pakistan e Siria. Il fine era quello di insegnare loro il tedesco ed il lavoro nelle fabbriche. Missione compiuta a quanto pare. Mentre la Porsche prepara l’ingresso nella sua squadra di undici dei tredici richiedenti asilo (dai 16 ai 38 anni) che avevano partecipato ad un programma di inserimento simile. “Eravamo fermamente intenzionati ad assistere i rifugiati nel loro processo di integrazione”, ha dichiarato Andreas Haffner del settore Risorse umane dell’azienda automobilistica, che a novembre avvierà un percorso identico per altri quindici persone e che ha intenzione di reinserire nel programma d’insegnamento anche i due non ancora pronti all’inserimento lavorativo che avevano partecipato ai corsi appena conclusi.

Il Ministero delle Finanze tedesche, nel frattempo, prevede che ben 77,6 miliardi saranno ancora spesi tra il 2017 ed il 2020 per gli immigrati, “per nutrirli, addestrarli al lavoro, dare loro una casa” volendo usare le parole del “Sole 24 ore”. Infatti, nonostante la responsabilità degli aiuti ricada sugli enti “regionali”, il governo centrale ha contribuito molto alla spesa in questo campo, assegnando ai länder 670 euro extra per ogni richiedente asilo ricevuto.

Poi, se “Alternativa per la Germania” supera la Cdu nella pur piccola regione del Meclemburgo-Pomerania, non state a farvi troppe domande, il perché è chiaro: è solo un modo per gridare “prima di tedeschi” e dire basta a queste politiche a tutti gli effetti razziste contro i cittadini.

Emmanuel Raffaele, 8 set 2016

Fabbriche di animali: la Germania si interroga sugli allevamenti intensivi

Allevamento-maialiFanatici vegani contro consumatori di carne convinti e sprezzanti. È così che anche il dibattito sul consumo di carne si riduce, come sempre, ad uno scontro ideologico tra opposte fazioni.

Un’inchiesta tedesca comparsa su “Der Spiegel”, però, ha il merito di andare oltre gli stereotipi, mettendo in luce vari elementi su cui riflettere:salari e delocalizzazionisaluteambiente ed etica della produzione dell’industria zootecnica.

Nel frattempo, ecco i primi dati che balzano all’occhio: se in Germania nel 1993 erano 264mila le aziende con allevamenti di maiali per una media di 101 capi ciascuna, oggi le aziende si sono ridotte a 28mila con una media di 985 capi. Infatti, il 32% delle aziende dispongono di oltre di mille capi, mentre nel 1999 erano il 3,4%. Un concentramento della produzione visibile ad occhio nudo, che significa alta specializzazione, maggiore produttività e scomparsa delle piccole e medie aziende.

Sta di fatto che, con 58,7 milioni di suini macellati nel 2012, il paese, dopo Cina e Usa, è al terzo posto quanto a produzione, al secondo quanto ad esportazioni, considerato anche che ogni anno un tedesco consuma in media 39 chili soltanto di carne suina e che l’85% di loro consuma carne ogni giorno, avendone triplicato l’utilizzo rispetto al 1950.

Per fare un confronto: se oggi in Germania si allevano 28 milioni di maiali, nel 2011 in Italia erano 8,5 milioni.

Numeri a parte, l’industria zootecnica tedesca mette di fronte a quello che è il modello europeo di allevamento intensivo e “di massa” ai tempi della società consumistica.

Un modello in cui i prezzi si abbassano, spingendo il consumatore a consumare sempre di più, a scapito di salari, ambiente e condizioni di vita degli animali all’ingrasso, che dispongono in media di una superfice di 0,75 metri quadrati, per una stazza che può giungere anche ai due metri di lunghezza.

Diverse le criticità, a partire dall’utilizzo eccessivo di antibiotici, favorito dalle case farmaceutiche e dal timore degli allevatori che le bestie si ammalino, ciò che però aumenta il rischio che si sviluppino ceppi resistenti spuntando «l’arma più efficace nella lotta contro molte malattie infettive». Basti pensare che «negli allevamenti intensivi si somministra una quantità di antibioticisuperiore di quaranta volte a quella impiegata negli ospedali tedeschi».

Esiste poi il problema dello sversamento dei liquami, definito da Michael Shonbauer, ex capo dell’ente austriaco per la sicurezza alimentare, «ilpericolo più grave».

«Secondo la camera dell’agricoltura della Bassa Sassonia – scrivono gli autori dell’inchiesta (Amann, Frohlingsdorf e Ludwig) -, nel Sudoldenburg i liquami sono eccessivi e in parte finiscono nelle falde acquifere sotterranee.Tanto che Egon Harms, geologo per una grande azienda idrica della Germania con il compito di assicurare la potabilità dell’acqua, denuncia: «Negli ultimi sette, otto anni, nelle falde freatiche più superficiali della zona il livello di nitrati è aumentato in modo preoccupante».

Nei distretti di Cloppenburg e Vechta i liquami raggiungono i 7,4 milioni di tonnellate all’anno, il che rende impossibile il rispetto dei limiti per losversamento nei campi e sta costringendo il governo della Bassa Sassonia a controllare i certificati di eliminazione.

Quanto al consumo idrico in sé, per la produzione di un chilo di carne di maiale occorrono 5.998 litri d’acqua; 287 per un chilo di patate.

Altra serissima questione aperta, quella dei lavoratori. «Tutto il sistema si basa sul dumping dei salari», secondo Matthias Brummer, delegato del Ngg, il sindacato del settore.

«Da tempo le aziende hanno smesso di assumere lavoratori specializzati tedeschi per appaltare l’opera ad aziende dell’Europa dell’est. Oggi, secondo le stime, settemila tra romeni, polacchi e ungheresi sezionano, disossano prosciutti e macinano carne negli stabilimenti industriali tedeschi».

La piccola cittadina di Essen, ad esempio, è diventata centro “specializzato” nella fornitura di manodopera a basso costo. Su 8.500 abitanti, un migliaio circa sono impiegati nella macellazione, che ogni settimana fanno fuori ben64mila suini per conto di un’azienda danese che in patria dovrebbe pagare i lavoratori tre volte di più. Il tutto per un costo al consumatore che in alcuni casi potrebbe variare appena di una manciata di centesimi.

Ed “infine” ci sono le questioni etiche. Poiché il “prodotto” in questione è pur sempre un animale, un essere vivente e qui non si tratta più dell’idea un po’ romantica e antica dell’allevamento classico. Qui si tratta di vere e proprie fredde fabbriche di animali, in cui il maiale è inserito fin dalla nascita in un procedimento produttivo scandito da tempi e trattamenti precisi, che lo privano del normale ciclo vitale e del suo habitat, del suo spazio e della sua stessa natura, dal momento che, ad esempio, per evitare che si feriscano gli vengono limati i denti, gli viene tagliata la coda e per la maggior parte vengono castrati, già nei primi giorni di vita attraverso l’asportazione  – molto spesso effettuata senza anestesia ma con la sola somministrazione di un analgesico – dei testicoli .

Per la maggioranza vivono in box singoli, senza possibilità di movimento.

Le scrofe, tanto alta è la “produttività”, spesso non riescono più a nutrire i “piccoli” dopo qualche cucciolata e vengono così macellate perché improduttive a cinque/sei anni, rispetto ad una speranza di vita che arriva a quindici anni.

I maiali appena nati rimangono con la madre per venti giorni, poi vengono subito selezionati per taglia e messi all’ingrasso. In quattro mesi possono passare da trenta a 120 chili. A volte crescono troppo e le ossa non reggono, si spezzano.

Quando non sono tenuti in box singoli, vivono insieme fino a 15 maiali. Anche la macellazione viene effettuata in serie. Nello stabilimento di Rheda-Wiedenbruck ogni giorno vengono abbattuti 25mila suini, 1700 in un’ora. Gli animali, caricati su un montacarichi, vengono «storditi con l’anidride carbonica, sospinti su un nastro trasportatore e quindi appesi per le zampe posteriori a due ganci. Poi un apparecchio automatico li solleva e li mette su una specie di piedistallo dov’è in attesa il macellaio […]. In questo modo si spedisce all’aldilà un maiale ogni tre secondi».

Dopo di che, è compito di un apparecchio scansionare il “prodotto” per misurarne la quantità di grasso, muscolo, ossa e cotenna e determinarne il prezzo.

Nulla è lasciato al caso per garantire ad ogni tedesco di mangiare carne ogni santo giorno.

Eppure, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso da tempo posizione contro il consumo eccessivo di carne, così come la Società europea di medicina preventiva, che attraverso il suo presidente, Michael Sagner, consiglia un consumo limitato a tre volte la settimana, facendo notare come: «partendo da un consumo medio di 50 grammi di carne,ogni volta che lo si raddoppia aumenta del 18% il rischio di contrarre un cancro al colon e del 42% quello di contrarre malattie cardiocircolatorie».

Eppure, in luogo del proverbiale pane a tavola, oggi pare sia la carne a farla da padrona.

Ecco perché la riflessione sugli allevamenti intensivi e sulle cifre del consumo di carne è d’obbligo: «È giusto produrre carne in questo modo? È possibile produrre animali come fossero articoli in serieÈ necessario? È lecito? Cos’ è che non va in questa catena di sfruttamento?».

Emmanuel Raffaele, 13 nov 2013

Germania, vignetta anti-israeliana irrita ambasciatore a Berlino: è antisemitismo

Sueddeutsche ZeitungProtagonista della vicenda è il “Sueddeutsche Zeitung” – testata tedesca di Monaco di Baviera, come si evince dal nome -, che martedì scorso ha pubblicato una vignetta in cui lo stato di Israele sarebbe stato rappresentato nella didascalia come un «mostro famelico», secondo quanto riferisce l’israeliano Hareetz [1].

L’immagine, che richiamerebbe l’oscura divinità di Moloch, la quale richiedeva ai padri il sacrificio dei propri figli, affiancata alla recensione di due testi su Israele, non è però stata gradita dall’ambasciatore israeliano a Berlino, che ha immediatamente sollevato la polemica e dato adito a diversi gruppi ebraici di tacciare addirittura la vignetta come antisemita [2].

Già mercoledì, in una breve dichiarazione sul proprio sito, il giornale ha celebrato il solito rituale: scuse immediate, pentimento per i «malintesi» causati e l’assicurazione che si è trattato di un «errore».