“Licenziato perché gay” ma poi ritratta: “era l’unico modo di far pubblicare la notizia”

In foto, Davide Sgrò

In un colpo solo, ci siamo trovati di fronte ad una dimostrazione del pessimo stato del giornalismo oggi e della strumentalizzazione delle tematiche lgbt.

Due giorni fa, svariate testate (regionali e non solo), titolavano all’unisono: “Licenziato perché gay: la battaglia di Davide Sgrò a Catanzaro”.
Oggi la smentita: lui o l’Agi (delle due l’una) si erano inventati tutto.

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Why you should visit Calabria

Self-portrait, “St. John Baptist”, Taverna (Catanzaro – Italy)

Let’s start spoilering something: contemplating in person the “St. Dominic’s vision”, that overlooks the altar of the San Domenico church (Taverna), is already a good reason to visit Calabria. But let’s take it slowly.

Less than three thousands inhabitants, a village at the foot of the “Sila Piccola” that settles just over 500 metres above sea level and reaches the 1400 metres of altitude at “Villaggio Mancuso“, Taverna is the synthesis of Calabria. Just a few minutes from the sea and, obviously, a few minutes from the wonderful and lush forests of the Calabrian mountains, like many other Calabrian villages, Taverna claims ancient origins. According to popular tradition, Taverna would have been founded by the inhabitants of Trischene, a Greek colony situated in the current Uria (fraction of the municipality of Sellia Marina), which the sisters of the trojan king Priamo would have given birth to. But despite the actual existence of Trischene have being debated, it seems plausible the existence of a Greek-Latin colony from which Sellia and Taverna would derive, following the Arab pirates incursions that forced inhabitants to find safer shelters in the interior during the Middle Ages.

The history of Taverna is the history of Calabria, a place where cities were founded by the ancient Greeks – as Kroton (Pitagora’s city), Skylletion, Locri, Rhegion, Kaulon, Hipponion, Terina, Sybaris and many more – giving the region the name of “Magna Graecia” and an incredible archaeological wealth.

And the geography of Taverna is the geography of Calabria: snug villages, clinging to the mountains, where you can breathe the burning wood in fireplaces in winter and the scent of the sea during summer. Continua a leggere

Ecco uno dei motivi per cui dovresti visitare la Calabria (e scoprire Mattia Preti)

Autoritratto di Mattia Preti in “San Giovanni Battista”, Taverna (CZ)

Iniziamo “spoilerando” qualcosa: contemplare di persona il “Cristo fulminante” di Mattia Preti, che sovrasta l’altare della Chiesa di San Domenico, è già un buon motivo per visitare Taverna.

Poco meno di tremila abitanti, con un borgo che, ai piedi della Sila Piccola, si posa poco sopra i 500 metri sul livello del mare, per poi sfiorare i 1400 metri di altitudine proprio nella frazione silana di Villaggio Mancuso, Taverna è la sintesi della Calabria. Continua a leggere

La massoneria dietro l’espansione della ‘ndrangheta al nord: parola di Gran Maestro

La ‘ndrangheta avrebbe usato e continuerebbe ad usare la massoneria per espandersi, anche e soprattutto facendo da ponte al nord. Questo il sospetto della Commissione parlamentare antimafia guidata dal Rosy Bindi, che ieri ha ascoltato le dichiarazioni dell‘ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo e dell’avvocato Amerigo Minnicelli, già maestro venerabile della Loggia Luigi Minnicelli di Rossano, a proposito della anomala crescita di iscritti nella regione dal ’95 ad oggi, dai 600/700 iscritti nei primi anni Novanta agli oltre 2600 oggi. “Non si giustifica una crescita in questi termini in alcun modo. Tutto ciò avviene per esercitare un controllo sulla organizzazione”, ha affermato Minnicelli, uscito dall’organizzazione, insieme a Di Bernardo, a suo dire proprio in seguito alle preoccupazioni dovute a questo fenomeno, venute fuori soprattutto con l’arresto, nel 2011, di Domenico Macrì, imprenditore 65enne già Gran Cerimoniere e Grande Ufficiale del Grande Oriente, presidente del Lions Club di Città di Castello nei primi anni Novanta, che avrebbe fatto da tramite tra i clan vibonesi e le banche del nord per operazioni di riciclaggio.

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Catanzaro, Mattarella inaugura cittadella regionale: il palazzo della casta calabrese

1427366250802.jpg--Domani, 29 gennaio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella la inaugurerà ufficialmente. Ma la storia della nuova sede della giunta regionale calabrese è tutt’altro che semplice. E, come sempre accade con la burocrazia italiana, parte da lontano e desta polemiche. L’ultima ieri, a poche ore dall’arrivo del presidente a Catanzaro, capoluogo calabrese che ospita in località Germaneto l’edificio realizzato secondo il progetto dell’architetto Paolo Portoghesi.

È Sergio Rizzo, questa volta, dalle colonne del Corriere, a riaccendere le critiche ricordando i costi enormi dell’operazione per una cattedrale nel deserto che vanta una superficie di 65 mila metri quadrati. Appena duemila in meno rispetto ai 67.121 della reggia del re Sole”, costruita con “costi triplicati in vent’anni, fino a oltre 160 milioni” e che non impedirà la dismissione dell’attuale sede della Giunta, Palazzo Alemanni, in pieno centro cittadino, che rimarrà aperta come “sede di rappresentanza” (!) e ospiterà gli uffici del Commissario ad acta per la Sanità.

In realtà, le questioni giustamente sollevate dal noto editorialista sono ancor più comprensibili alla luce di un contesto cittadino e regionale in cui la burocrazia attanaglia per intero la realtà sociale e impedisce lo svilupparsi di un’economia regionale vera. Una burocrazia alimentata nel tempo dalla politica e che, in Calabria, conta ad esempio ben 2.141 dipendenti soltanto per la Giunta regionale, inclusi – come ricorda Rizzo – quei 481 trasferiti dalle Province dopo l’entrata in vigore della legge che porta il nome del ministro Graziano Delrio”.

Ma, visto che qualcuno l’ha paragonata ai fasti di Versailles, dovrebbe prima fare i conti con la pessima qualità degli amministratori calabresi e comprendere quanto verosimile possa essere in questo caso il proverbiale modo di dire “cattedrale nel deserto”.

Infatti, a parte l’anonimo grigiore che esprime la struttura nel progetto scelto e realizzato (opinione personale), gli amministratori nel tempo hanno pensato in grande ma ragionato in piccolo ed in modo schizofrenico, collocando alcune importanti strutture cittadine proprio in un’area che, attualmente, è poco abitata, priva di rilevanti aree commerciali e mal connessa con il resto della rete stradale cittadina, contando di farne il centro strategico di un capoluogo dal volto nuovo. Un’idea forse giusta, comunque plausibile, nonostante si possa sospettare degli affari con la compravendita dei terreni in un’area che un tempo fu di “campagna”; un’idea però responsabile indubbiamente della morte del centro storico e dell’asfissia dell’intero complesso cittadino fondato finora su tutt’altre direttrici e con l’unico pregio di dimostrare una minima visione d’insieme, con qualche corretto spunto dal punto di vista dello sviluppo urbano e della mobilità, se non fosse per lo spopolamento cittadino che avrebbe dovuto far ritenere improbabile il previsto ampliamento. E comunque portando avanti il tutto in maniera poco lineare.

Sempre in quest’area, inoltre, è stata collocata l’Università “Magna Graecia” con annesso Policlinico universitario (e la tristemente nota Fondazione Campanella, al centro di altri scandali di livello nazionale), qui dovrebbe spostarsi il principale ospedale della città, qui si trova la nuova stazione ferroviaria di Catanzaro, priva di impiegati, letteralmente teatro di pascolo per le pecore, con pochissime navette che la collegano al centro, in degrado e pericolosamente deserta, inutilizzabile come scalo cittadino principale, mentre a circa 2 km, la stazione di Catanzaro Lido già la sostituisce nei fatti. Collegata quanto meno al centro ed agli altri quartieri della città dalla “Littorina”, tratto ferroviario realizzato in epoca fascista attualmente a gestione pubblica, nucleo principale di quella che dovrà essere la “metropolitana di Catanzaro”, con un costo del biglietto in costante crescita e una frequenza molto bassa di corse durante il giorno.

Il risultato di queste grandi idee sono una stazione nuova ma deserta, inutilizzata, inutilizzabile e già vecchia, una stazione “marinara” collocata in area del tutto degradata che funge “abusivamente” da stazione principale ed una stazione “vecchia” ancora chiusa con annesso tratto ferroviario, nonostante fosse stato già realizzato il collegamento – anch’esso cemento sprecato ed attuale regno del degrado – con quello che avrebbe dovuto essere un grande centro direzionale, i cui lavori hanno quasi raso al suolo una collina prima di esser bloccati da anni di processi e comparse in tribunale da parte di politici e costruttori.

Tutto ciò dopo il sostanziale fallimento dell’altrettanto storica “funicolare”, riproposta ai catanzaresi come soluzione al traffico veicolare dalle periferie alla città e poi finita con l’enorme parcheggio a valle, con splendido panorama con vista rovine Parco Romani (vedi centro direzionale poco sopra), deserto, inutilizzabile, teatro dell’abbandono ed una durata del viaggio che è passata dal minuto e mezzo dell’inaugurazione alle interminabili attese per una partenza e l’angosciante e lenta risalita della collina, con tanto di sosta a metà percorso (dove era stato realizzato un a dir poco sottoutilizzato scalo), per giungere infine sul lato “sud” del corso cittadino a combattere con il pessimo servizio navette di un’azienda per la mobilità da sempre sfruttata solo a fini politici e – notizia di poche ore fa – un corso cittadino che conta ormai un quarto degli spazi commerciali sfitti.

Tutto ciò a pochi passi da una Facoltà di Sociologia aperta da pochi anni in centro al solo scopo, a dir poco assurdo, di bilanciare la fuga dal centro storico.

Per cui perdonatemi se non riesco a trovare scandalosa l’inaugurazione della “Cittadella” regionale – che a quanto pare si chiamerà, con presunzione tutta retorica, “Palazzo degli Itali” – soltanto per i costi, per gli sprechi di spazio, risorse e per il Consiglio regionale ancora a Reggio Calabria, un assurdo residuo di spartizione democristiana ma sempre attuale del potere, che ogni anno ci costa peraltro centinaia e centinaia e centinaia di migliaia di euro di rimborsi (cinque anni fa, ricorda Rizzo, ben 211.842,42 euro soltanto all’ex presidente del Consiglio regionale Giuseppe Bova).

No. A scandalizzarmi quando vedo la nuova costruzione è il volto del potere oligarchico calabrese che esso rappresenta e che ha distrutto la mia città. Che l’ha resa brutta, invivibile, le ha tolto l’anima. Che l’ha spogliata. Vedo i pochi che l’hanno governata da sovrani assoluti, magari dietro le quinte e mi immagino i loro volti. E so che attualmente la mia città, capoluogo di regione, è isolata dal resto della Calabria e dall’Italia. Con uno scalo ferroviario che non la serve direttamente se non per linee secondarie e regionali, posto a 30 km di distanza, con un collegamento pessimo e per lunghi periodi interrotto. Con un grande ateneo, come quello di Rende (Cosenza), che ospita migliaia di studenti catanzaresi ma rimane ancora difficilmente raggiungibile. Con la televisione pubblica che ha sede altrove e si occupa appena dei suoi problemi e se lo fa si preoccupa di non disturbare troppo chi governa. E le periferie sud regalate alla delinquenza rom, i quali, una volta ottenuto gentilmente in omaggio, anni orsono, dai politicanti che mendicavano in cambio voti, il loro fortino fatto di edifici popolari ormai sede di ogni tipo di spaccio, difficilmente accessibili alle forze dell’ordine, hanno agevolmente potuto estendere ad altri rami i loro business.

Vedo i loro volti in quell’immenso edificio. Anzi, in quei 14 edifici di cui è composto. Ed in quei 2.400 metri quadrati di garage vedo i loro scheletri nell’armadio. In quei 46 anni di affitti pagati finora per gli uffici della Regione vedo gli interessi dei privati che si intrecciano al pubblico. E nella capienza esagerata della struttura, che arriva fino a 5.500 persone e non promette niente di buono, ma che ospiterà poco meno di tremila persone, senza che l’attuale sede della giunta, nella stessa città, venga chiusa, e senza che l’Assemblea regionale e i loro staff (120 persone) vengano anch’essi trasferiti qui, magari insieme ai 362 dipendenti dell’assemblea regionale, beh, in questo enorme spreco non posso che continuare a vedere quei volti prendersi gioco di noi.

Ed allora quando leggo che navette gratuite sono previste per condurre mandrie di catanzaresi trionfanti alla corte di Mattarella, a festeggiare con giubilo questo tripudio di inutilità e spreco, falsità e burocrazia; quando penso che persino i dipendenti sono stati invitati in extremis a quello che si presenta come un evidente numero da circo e niente più; quando penso ai 10 anni tra stop e burocrazia, allora ho quasi la sensazione che avrei preferito un bel parco archeologico e lo stop definitivo dei lavori, quando ad inizio cantiere venne ritrovato un insediamento di epoca ellenistica che rallenterà i lavori per due anni. Quelle rovine, dichiarate poi “delocalizzabili” dall’ex presidente della Regione ed ex ministro Agazio Loiero, ideatore della cittadella, quanto meno, non mascheravano dietro un fasto meschino ed ipocrita la decadenza a cui la politica calabrese ha abbandonato il suo territorio con la schizofrenia interessata della sua progettualità.

Breve intervista ad Antonio Catricalà su riforma Fornero

Antonio CatricalàRitorno in Calabria e ritorno nella sua città natale Catanzaro per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri Antonio Catricalà, che avrà trovato senz’altro calorosa l’accoglienza riservatagli dal sindaco del capoluogo di Regione Sergio Abramo, dal presidente della Provincia Wanda Ferro e dal presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. «Qui ho passato la mia infanzia felice», ha esordito Catricalà, che ha parlato di «rinnovato splendore» della città ed ha concluso il suo discorso con un incoraggiante «viva l’Europa, viva l’Italia, viva il Mezzogiorno d’Italia». Inversione di tendenza, questa la parola d’ordine lanciata dal sottosegretario, che ha avuto modo anche di parlare di spending review; «non tagliamo i servizi, ma i surplus di spesa. Se riusciamo a realizzare il bottino di quattro miliardi e duecento milioni di euro entro l’anno non avremo la necessità di aumentare di due punti l’Iva per raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio». Temi caldi, dunque, come la riforma del lavoro, su cui ha avuto modo di chiarire il suo punto di vista proprio a Calabria Ora, com’era pressoché d’obbligo in una giornata dedicata ai giovani ed al loro futuro, viste le criticità della questione, che probabilmente si avvertono nel Mezzogiorno più che altrove.

La giornata di oggi è dedicata ai giovani ed ai loro progetti lavorativi, un tema che stride con la riforma approvata, che facilita la flessibilità in uscita e, di fatto, i licenziamenti, non crede?

La riforma del lavoro è stato un disegno di legge molto elaborato, studiato con attenzione ed ovviamente approvato in una situazione di emergenza ma comunque con ampi consensi. Si è trattato di un provvedimento molto atteso anche dall’Europa, tanto che lo stesso Barroso (presidente della Commissione europea, ndr) ha spiegato che, avendo approvato quest’ultimo disegno di legge – che tra l’altro faceva già parte di un nostro progetto -, siamo andati in Europa con tutte le carte in regola e proprio questo ha facilitato il negoziato che ci ha visti uscire in una posizione favorevole in quella notte fatidica a Bruxelles.

Di certo, però, il nuovo contratto ‘tipo’ per l’ingresso nel mondo del lavoro sarà un contratto di apprendistato, quasi si voglia ‘togliere’ ai lavoratori per ‘dare’ solo agli imprenditori…

Non mi sembra che si voglia dare né togliere a nessuno. Mi sembra, piuttosto, che si voglia regolamentare al meglio un mercato che era regolamentato da norme non più accettate a livello internazionale e quindi garantire all’Italia una modernizzazione che era necessario portare avanti.

Ma contestualmente è stato abolito, tra l’altro, il reintegro ‘automatico’ dopo il licenziamento…

In realtà neanche prima era automatico, dal momento che era comunque necessaria una valutazione da parte del giudice.

Proprio il titolare del Dicastero del Lavoro, Elsa Fornero, ha dichiarato che il lavoro non è un diritto, è d’accordo?

Non faccio mai dichiarazioni sulle dichiarazioni altrui.

Emmanuel Raffaele, “Calabria Ora”, giugno 2012

La Corte dei Conti boccia il sistema idrico calabrese

corte conti calabriaUna bocciatura netta. Questo, in sintesi, il contenuto della relazione sulla gestione delle risorse idriche e dei relativi impianti in Calabria, redatta della Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti presieduta da  Franco Franceschetti e della quale ha dato lettura ieri il magistrato Quirino Lorelli.

L’assetto normativo per cui l’Autorità di Ambito avrebbe dovuto aggiudicare la gestione del servizio ed i Comuni avrebbero dovuto partecipare alla gestione dell’Autorità, chiarisce la relazione, «non è mai stato applicato e si è determinata, negli anni, una sorta di extraterritorialità dell’intero sistemo legislativo e gestorio delle acque nel territorio della Calabria».

Dubbi anche sulla conformità alla legge statale della legge regionale 34/2010, che nell’art. 47 attribuisce alla Regione le funzioni di Autorità di Ambito, dal momento che la Corte costituzionale «ha escluso ogni competenza residuale regionale in materia di servizi pubblici locali», senza contare che l’articolo in questione «viene a reintrodurre nell’ordinamento un soggetto – l’Autorità d’Ambito – che è stato espressamente cancellato dalla legge dello Stato».

Bocciatura anche per gli Ato i quali, prosegue la relazione, «hanno mostrato, tutti indifferentemente, scarsa attenzione all’evoluzione normativa, quando addirittura hanno dimostrato chiaramente di disconoscerla». Una situazione che l’adunanza pubblica di ieri ha confermato con diversi silenzi imbarazzanti e situazioni tragicomiche. Puntuale la relazione resa invece dal presidente della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro, la quale ha inteso chiarire che nessuna legge regionale ha mai trasferito le funzioni alle amministrazioni provinciali e che la Provincia di Catanzaro non ha mai svolto le funzioni di soggetto d’ambito limitandosi «a supportare l’organismo esistente solo sotto il profilo amministrativo-contabile senza risorse a carico della Provincia».

Perdite per l’Ato di Cosenza, nessuna verifica delle infrastrutture da parte dell’Autorità di Ambito dell’Ato di Catanzaro, mancata attuazione delle norme ambientali a Crotone, mancata individuazione del soggetto gestore a Vibo ed, infine, assenza di un proprio bilancio a Reggio Calabria, dove si fa riferimento a quello della Provincia. Per quanto riguarda Sorical, si nota che la partecipazione degli enti locali «è rimasta lettera morta», mentre il capitale è per il 53,55% della Regione e per il 46,5% di Acque Calabria Spa, controllata di Acqua Spa, a sua volta della Siba Spa che, in un intricato gioco di scatole cinesi, è interamente partecipata dalla multinazionale Veolia Water.

Un affidamento, quello a Sorical, che secondo la Corte potrebbe non essere legittimo, tenendo conto che «il sistema legislativo calabrese incentrato ancora sulla L.R. 10/1997 presenta possibili margini di incostituzionalità». Stabile nel triennio 2007-2010 la tariffa applicata, mentre si sarebbe ridotto il margine incassato dai Comuni da destinare alla manutenzione e all’ammodernamento. Un’osservazione a cui Sergio Abramo, presidente della Sorical, ha risposto: «è la Regione che determina i meccanismi tariffari e quella regionale è tra le più basse in Italia».

La Corte, infine, segnala l’anomalia di Comuni, tra cui spicca Cosenza che, pur disponendo di risorse idriche sufficienti, acquistano acqua da Sorical, e di altri quali Reggio, Catanzaro e ancora Cosenza che, pur avendo riscosso il pagamento da parte dei cittadini, hanno maturato un debito crescente nei confronti dell’azienda. La raccomandazione della Corte è quella di provvedere all’adozione «di una legge regionale unitaria ed organica che aggiorni l’intero sistema».

Emmanuel Raffaele, “Calabria Ora”, dicembre 2011

Calabria, propaganda sulla crisi

lavoro neroI toni inopportunamente trionfalistici non mancano mai. Il nuovo governo Monti si è insediato ed ha subito sfatato due luoghi comuni: Berlusconi ha provocato la crisi, il governo tecnico è la soluzione. Per il 2012 l’Ocse prevede la recessione, mentre anche Francia e Germania traballano. È in questo contesto che Benedetto Di Iacovo, presidente della Commissione per l’emersione del lavoro non regolare in Calabria, ha affermato: «l’andamento dell’economia calabrese nel 2011 fa ben sperare anche per 2012».

Per carità, i dati sul lavoro nero sono rassicuranti (circa 7.000 unità emerse nel 2010), ma da qui a dire che la Calabria va in controtendenza ce ne vuole. E precisamente nel mezzo passano i dati che lo scorso 18 novembre – sfortunatamente per lui, qualche giorno prima delle parole di Di Iacovo – sono stati presentati presso la filiale catanzarese della Banca d’Italia. Dati tutt’altro che incoraggianti sulla situazione registrata nei primi sei mesi del 2011.

Tanto per cominciare, la disoccupazione è risalita. Nei primi sei mesi era al 12,9%. Nel primo trimestre era addirittura al 13,8%. Mentre nel 2009 eravamo all’11,3%. Il tasso di attività e quello di occupazione sono ai livelli minimi dal 2004 (47,3% e 41,2%). Sono cresciute, al contrario di quanto avvenuto a livello nazionale, le ore di cassa integrazione e ciò a causa dei necessari interventi straordinari. In crisi quasi tutti i settori e qualche speranza (queste si probabilmente congiunturali) da esportazioni e turisti stranieri. La situazione insomma non è delle più semplici.

Basti pensare che, secondo l’ultimo censimento dell’agricoltura, le aziende agricole calabresi, terze per numero in Italia, sono passate dalle 174.693 unità del 2000 alle 137.699 del 2010. Quasi 37.000 aziende perse in dieci anni, senza che, come altrove, vi sia stata in compenso un’espansione dimensionale di quelle esistenti. Anzi, sia la Superfice Agricola Totale (SAU) che la Superficie Agricola Utilizzata (SAT) risultano diminuite. Se prima le aziende agricole erano l’8,4% di quelle italiane, ora sono il 7,26%. Non è dunque solo una questione di settore generalmente in crisi. Se si guarda al più fruttuoso settore zootecnico, infatti, solo il 7,2% delle aziende agricole calabresi lo pratica, al contrario di quelle lombarde, dove la percentuale è al 39,7%.

Altro che questione settoriale, del tutto fuori tempo con la crisi finanziaria in corso. Lo stesso settore industriale, d’altronde, esprime una situazione sconfortante. Dando uno sguardo al rapporto sull’economia italiana redatto dalla Banca d’Italia nel novembre 2011, infatti, si scopre che la Calabria non è dotata neanche di un distretto industriale classificabile come tale. Al contrario della Puglia, ad esempio, che ne ha 8, della Sicilia, che ne conta 2, della Campania, che ne conta addirittura 6 e persino della Basilicata (1). In gioco, dunque, non ci sono solo dati di breve periodo.

E come sempre i toni trionfalistici lasciano il tempo che trovano.

Emmanuel Raffaele, “Universo Parallelo”, gennaio 2012