Tutti contro Cristoforo Colombo: ecco la prova che il nemico è l’uomo bianco

La questione relativa al genocidio della popolazione nativa americana all’arrivo dei colonizzatori europei è variamente dibattuta ed è centrale nella storia americana. Innanzitutto perché si includono nella definizione, non solo gli indiani uccisi per ragioni di mera conquista, ma anche i morti causati da fattori indiretti (come le malattie assenti in America e giunte dall’Europa). In secondo luogo perché dibattuta è la stessa presenza indigena in America in termini numerici. Dai trenta milioni di Bacci ai quasi 150 di Stannar, c’è una differenza consistente ma non si può dimenticare un elemento importante: le dimensioni del continente americano fanno si che, ancora oggi, con un miliardo di persone circa, la densità abitativa si attesti a poco più di 21 persone per chilometro quadrato, mentre in Europa il valore si attesta intorno ai settanta e in Asia è superiore ai novanta. Il punto, ovviamente, non è la legittimazione di un genocidio – ci mancherebbe altro! – ma la contestualizzazione di una “invasione” europea che, di fatto, avvenne in un continente scarsamente abitato, con ampi spazi disponibili e, quindi, non fu in realtà una invasione: constatazione necessaria a far partire un dibattito oggettivo. Continua a leggere

Trump: oggi il generale Lee, domani abbatteremo le statue di Washington? L’estrema sinistra è violenta e ha le sue colpe [VIDEO]

Alla fine è intervenuto, in stile Donald Trump, senza peli sulla lingua, politicamente scorretto ma senza lasciare nulla al caso e, in risposta ad una giornalista che gli chiedeva un commento sui fatti di Charlottesville, ha risposto: “C’erano persone che protestavano molto tranquillamente contro la rimozione della statua di Robert E. Lee e lo facevano in maniera assolutamente legale perché – non so se lo sapete – ma loro avevano un permesso, l’altro gruppo non ce l’aveva”. E l’altro gruppo, ovviamente, è quello che il presidente degli Stati Uniti definisce – per richiamare la definizione di alt-righ data agli estremisti di destra- “alt-left”, la sinistra alla quale Trump attribuisce, a parte l’illegalità della protesta, buona parte delle colpe per gli scontri e le violenze.

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North Carolina, attivista 22enne arrestata per l’abbattimento della statua in onore dei confederati a Durham [VIDEO E FOTO]

A Durham, nel North Carolina, una studentessa di 22 anni, membro del Partito Mondiale dei Lavoratori, è stata arrestata martedì a seguito della protesta in cui è stata buttata giù una statua che onorava la “memoria dei ragazzi che indossavano la divisa grigia”. Questa la frase in in rilievo sul basamento della statua, eretta nel 1924 per ricordare i soldati dell’esercito confederale morti durante la guerra civile americana e tirata giù lunedì da Takya Fatima Thompson, attivista di colore che, aiutata da una scala, ha legato una corda intorno al collo del soldato, utilizzata poi dal resto del gruppo per trascinarla giù.

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Virginia, ieri l’interrogatorio del sospetto omicida e l’attesa condanna di Trump ai “suprematisti”. Intanto il procuratore prepara un processo politico [VIDEO]

E’ James Alex Fields Jr., 20 anni, nato a Kenton nel Kentucky ma attualmente residente, insieme alla madre, a Maumee, nello stato americano dell’Ohio, la persona arrestata con l’accusa di essere il responsabile della morte della 32enne Heather Heyer e del ferimento di una ventina di persone che, sabato scorso, nel primo pomeriggio, stavano partecipando ad una manifestazione “anti-razzista” a Charlottesville, in Virginia. La notizia arriva a poche ore da quello che molti notiziari hanno descritto come una sorta di attacco terroristico di matrice neonazista portato attraverso l’utilizzo di un auto lanciata sulla folla.

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Cara Netflix, non chiederemo scusa di essere bianchi. La nuova serie non è solo fiction

Certo, si tratta solo di una nuova serie in streaming sulla piattaforma Netflix. Ma – a parte gli oltre 90 milioni di utenti iscritti al servizio nel 2016, i 190 paesi in cui è disponibile che ne fanno “il primo network globale” (Repubblica, 19 gennaio 2017) e l’aumento del fatturato del 35% sull’anno precedente (8,3 miliardi di dollari in totale) – “Dear White People“, la serie disponibile dallo scorso 28 aprile, porta sui nostri schermi una realtà ed un messaggio politicamente e socialmente troppo rilevanti per essere trascurata.

Produzione Usa in dieci episodi da trenta minuti ciascuno (originali nello stile narrativo multi-prospettico), ideato da Just Simien (autore di un omonimo film nel 2014), la serie è provocatoria fin dal titolo (che in italiano suonerebbe “Miei Cari Bianchi“). “Dear White People”, infatti, è il nome della trasmissione radio condotta da Samantha, studentessa di colore nonché attivista di spicco della comunità “black” del college che frequenta, interamente costruita per mettere sul banco degli imputati i bianchi in quanto oppressori privilegiati.

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Zara ritira gonna dalla nuova collezione, sotto accusa le rane “razziste”

No, non è l’ennesimo scherzo della rete. La catena di negozi che fa riferimento al marchio “Zara”, lo scorso 19 aprile, ha deciso di ritirare dalla propria collezione primavera-estate 2017, e quindi dai migliaia di punti vendita del brand spagnolo sparsi ormai in tutti il mondo, una minigonna di jeans sulla quale erano cucite alcune toppe di troppo. A seguito di una polemica innescata dalla fashion blogger americana Meagan Fredette, infatti, in rete si è diffusa l’idea che le tre rane riprodotte appunto sulla gonna fossero troppo simili a “Pepe the frog”: la meme divenuta suo malgrado protagonista della campagna presidenziale americana sarebbe ormai un simbolo intollerabile di razzismo.

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Nei cinema “Loving”: quando gli Usa vietavano i matrimoni misti (oltre 20 anni dopo averci “liberato” dal fascismo)

Stati Uniti, 1924. Ben quattordici anni prima che in Italia venissero promulgate le cosiddette leggi razziali, lo stato americano della Virginia emanava il Racial Integrity Act, una legge per la tutela dell’integrità della razza, che sarebbe rimasta in vigore addirittura fino al 1967 e che, in versioni simili, interessò fino al caso “Loving contro Virginia” decine di stati a stelle e strisce. Il Racial Integrity Act, tra le altre cose, vietava a persone di razza bianca di sposare persone di altre razze. In Georgia era vietato sposare “persone di discendenza africana; tutti i negri, i mulatti, i meticci, e i loro discendenti, aventi nelle vene una accertabile traccia di sangue negro o africano, indiano occidentale o indiano asiatico; mongoli”. In Alabama qualsiasi “negro o discendente di un negro fino alla terza generazione compresa, anche se un antenato di ciascuna generazione era bianco”. E così anche in Arizona, California, Colorado, Florida, Indiana, Kentucky, Louisiana, Maryland, Missouri, Montana, Nebraska, Nevada, North carolina, North dakota, Oklahoma, ecc.

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Papa Francesco e la lezione dimenticata di Roma, ma anche di Cristo

Pope Francis speaks to migrants, some wearing white caps, during his visit to the island of Lampedusa, southern Italy, Monday July 8, 2013. Pope Francis traveled Monday to the tiny Sicilian island of Lampedusa to pray for migrants lost at sea, going to the farthest reaches of Italy to throw a wreath of flowers into the sea and celebrate Mass as yet another boatload of Eritrean migrants came ashore. (AP Photo/Alessandra Tarantino, pool)

Forse non ci facciamo caso, ma quando pensiamo al passato, facciamo sempre riferimento mentale ad organizzazioni politiche in cui la frammistione tra politica e religione si suppone fosse forte. Dio era il dio del popolo, spiegava Nietzsche, perciò la dimensione politica e quella religiosa coincidevano. Nonostante questo, si trattava di ordinamenti probabilmente più “laici” nella sostanza di quello che si sta affermando nell’epoca post-liberale.

Impossibile? Lo spunto viene proprio dalle recenti parole del papa sull’amare il prossimo ed il suo riferimento diretto alle politiche italiane sull’accoglienza. Legge dello spirito sacrosanta quella dell’amore per il prossimo. Ma il capo della Chiesa cattolica, come già segnalato da più parti, compie un’operazione pericolosa, oltreché scorretta, allargando ad una dimensione politica il campo d’applicazione di una disposizione “spirituale” a carattere prettamente individuale.

Il «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», frase con la quale, di fatto, Gesù Cristo legittimò l’autorità del potere temporale romano, tenendo per sé “soltanto” la sovranità sulle anime, non è una semplice trovata per sfuggire ad una delle tante trappole dottrinarie vanamente tentate contro di lui dai farisei. Si tratta, infatti, di una tra le tante espressioni di una dottrina che la vita stessa di Cristo va a rappresentare. «Il mio regno non è di questo mondo» è quello che, del resto, ripete più volte nel corso della sua predicazione, sottolineando una caratteristica fondamentale del suo messaggio e della sua dottrina: la sua parola, infatti, non solo è rivolta esclusivamente all’azione individuale ma, soprattutto, si concentra non soltanto sull’azione in sé ma sul modo in cui si realizza l’azione. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità», racconta Matteo, citando direttamente il Messia dei cristiani. Ed in queste parole sta il senso della sua predicazione: ripulire l’interiorità dell’uomo. Non contano molto per lui le buone azioni, quanto le buone azioni fatte col cuore puro, con sincerità. Non si pone il problema di una giustizia politica o sociale, ma di una giustizia individuale, interiore, spirituale. È chiaro e scontato che questo non implica un disinteresse per le buone o le cattive azioni della società nel suo complesso, ma è indubbio che Gesù Cristo non mette in discussione il piano politico, deludendo peraltro i suoi apostoli, che in alcune occasioni sembrano seguirlo solo per la convinzione che il loro “re” avrebbe guidato una rivolta di natura sociale contro i romani. Molto semplicemente, Cristo non pretende di essere un legislatore politico ma un legislatore dello spirito, mirando ad influire sui comportamenti tra gli uomini e non certo a fare della sua parola un programma politico. Se lo avesse voluto fare, lo avrebbe fatto o detto. Non lo ha fatto, né detto e questo dovrebbe far riflettere prima di tutto chi dovrebbe rappresentare in terra la sua parola. Ma, soprattutto, se lo avesse fatto o voluto fare, siamo proprio sicuri che il suo programma politico sarebbe stato affine a quello proposto da papa Francesco? Non osiamo rispondere, ma sottolineiamo l’interrogativo. Ed evidenziamo che peraltro, nel tempo, la Chiesa ha dato una risposta a tutto questo, compilando vari “catechismi” e dottrine in cui dell’immigrazione, come della giustizia sociale e penale, c’è una visione del tutto “razionale” e non certo banalmente e utopisticamente improntata all’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”. Questa frase non è e non può essere un programma politico a meno di non opporsi alla politica stessa, nel senso di stato, organizzazione sociale e diritto. Ed in questo caso, a maggior ragione, lo uno stato se ne dovrebbe guardare.

The-Passion1Quella tracciata dal Cristo è, in ogni caso, senz’altro una frattura rispetto alla religiosità tradizionale, che ha dato vita alla difficile (e alterna dal punto di vista dell’approccio rispetto al messaggio originario) dialettica Stato-Chiesa e Impero-Chiesa, cambiando definitivamente il rapporto tra religione e Stato in Occidente. Appunto. Anche il contributo paolino, del resto, si inserisce su questa direttrice («ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite», Rm – 13, 1-7) senza contare il catechismo di san Tommaso d’Aquino, il quale ha ben chiara la priorità comunitaria nella decisione politica rispetto alla decisione individuale: «la cura del bene comune è affidata ai principi investiti della pubblica autorità», chiarisce nel corso di un discorso sulla pena di morte. Dopo l’avvento del Cristianesimo, quindi, la dimensione politica e quella spirituale si separano e, proprio in relazione a tutto questo, è opportuno che questa separazione venga rispettata, considerando la dimensione ormai “privata” del messaggio cristico.

La retorica dell’accoglienza, quindi, va combattuta anche in nome del “laicismo” e del “diritto” nel senso più alto del termine. La politica delle porte aperte rispetto all’immigrazione di massa è, sostanzialmente, una soluzione “religiosa” al problema, che pretende di rispondere ad un fenomeno che ha dimensione politica attraverso i doveri “spirituali” dell’accoglienza e della generosità. La risposta, invece, non può che essere politica ed indipendente da qualsiasi influenza “religiosa” (o ideologica, che fa lo stesso) nel momento decisionale.

E’ su queste stesse basi, del resto, che si tende, purtroppo, ad associare l’opposizione all’immigrazione di massa con un atteggiamento esistenzialmente e/o razzialmente ostile all’immigrato in quanto persona. Un’associazione mentale che, appunto, riflette quanto detto: il criterio con il quale, chi si oppone a questa visione sulla base dell’antirazzismo e dell’amore per il prossimo, crede si debba legiferare, muove da motivazioni meramente “reazionarie” rispetto appunto a quelle che combatte, il razzismo e l’odio. E’ un criterio, dunque, specchio di quello opposto, che pure non è giudicato politico, ma che è, come esso, legato ad antipatie e/o simpatie personali, emozioni, sentimenti e stati d’animo, in breve, a tutto ciò in base al quale, in nome dell’imparzialità, non si dovrebbe proprio pensare di legiferare: l’amore contro l’odio per il prossimo, l’antirazzismo contro il razzismo.

romolo-e-remoNel racconto tradizionale della fondazione di Roma il 21 aprile 753 a.c., Romolo uccide Remo, che pure è il fratello, non per odio o per rancore e, certo, non con piacere visto il legame; lo fa per dovere. Distinguendo perfettamente la dimensione politica da quella personale che spiritualmente lo legava al fratello. L’esempio di Roma, anche fosse soltanto mitologia – cosa che non è -, rifletterebbe una concezione del potere di natura religiosa ma laicissimo nella pratica. La religiosità del potere sta appunto nella sua origine, ma non è la dimensione spirituale personale che ispira il momento decisionale e la dimensione politica, poiché questa deve rimanere legata alla “legge”, al diritto, ad un’idea di giustizia che non è bontà individuale ma “bontà” in ottica comunitaria. Ed in ottica comunitaria, quindi, ciò che può essere bene per il singolo può essere male per la comunità e, perciò, il caso singolo deve essere trattato in base ad un criterio che dà la precedenza al bene comunitario: questa è politica, questo è diritto, perché questa è imparzialità. Questo è il vuoto “politico” volutamente lasciato da Cristo, al quale hanno cercato di rimediare i teologi, riuscendoci, come Tommaso d’Aquino, oppure giungendo a soluzioni troppo legate alla situazione contingente. Spiritualmente, affettivamente, se fosse stato “buono”, inteso nell’accezione moderna del tutto individualistica, Romolo non si sarebbe macchiato volentieri dell’omicidio del fratello, ne avrebbe fatto a meno, avrebbe chiuso un occhio, in fondo non aveva fatto male a nessuno. E’, però, il suo dovere politico di ordinatore che gli impone di non agire secondo una dimensione personale ma considerando, invece, soltanto se quell’atto avrebbe fatto il bene della comunità. E, avendo minato l’autorità, la legge e quindi il diritto, lo uccide. Non per odio, ma per dovere. L’opposizione all’immigrazione, in pari modo, non coinvolge affatto la dimensione personale, non è una questione di odio e, in ogni caso, se per alcuni lo è, non va valutata in base a questi fattori: semplicemente la risposta non deve avere a che fare con l’assecondare o l’opporsi a questi fattori. E questa stessa conclusione, di ritorno, fornisce anche un indirizzo spiritualmente interessante per quanti si oppongono al fenomeno migratorio, da cristiani oppure no: “combattere senza odiare”, parafrasando una vecchia ma sempre attuale canzone. Dunque, tenetevi lontani dal fare dell’immigrato come persona un nemico; dal motivare il vostro no all’immigrazione con l’odio, il rancore, la paura; tenetevi lontani, insomma, per quanto il rispetto di una persona lo possa meritare, dal confondere i due piani come a sua volta fa chi vi accusa, riducendovi, in fin dei conti, ad essere spiritualmente soltanto dei miseri razzisti piuttosto che dei patrioti sinceri. Questa è spiritualità romana.

Uk, Cameron denuncia razzismo di Stato: l’establishment apra alle minoranze

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“E’ più probabile che un giovane di colore si trovi in prigione piuttosto che in un’università prestigiosa”. David Cameron, primo ministro inglese, in una lettera al “Sunday Times”, ci è andato giù duro ed ha addirittura puntato il dito, in modo insolito per un conservatore, contro esercito, polizia, università e grandi aziende a causa del loro presunto razzismo istituzionale.

E’ una vergogna per la nostra nazione”, ha affermato il premier britannico, promettendo che il suo governo farà finalmente la differenza ed esortando il paese: “Portiamo a termine, insieme, la battaglia per un’uguaglianza reale in Gran Bretagna”. “Non è abbastanza dire di essere aperti a tutti”, ha infatti spiegato evidenziando alcuni dati: non ci sono generali di colore nelle nostre forze armate e solo il 4% degli amministratori delegati tra le FTSE 100 [1]  appartengono ad una minoranza etnica”. “Nel 2014”, ha proseguito, “la nostra università più prestigiosa, ha ammesso soltanto 27 ragazzi di colore su un totale di 2.500 […]. Le persone il cui nome ha un suono esotico hanno meno probabilità di essere richiamate per un lavoro, pur avendo le stesse qualifiche”.

Appena lo 0,1% degli ufficiali dell’esercito – ha aggiunto il giornale britannico – sono neri, lo 0,2 % (285) appartiene ad altre etnie, ben 4 forze di polizia non hanno all’interno gente di colore ed in generale la polizia conta soltanto 2 alti ufficiali di altre etnie; quanto agli altri settori, 6 club calcistici su 92 hanno al vertice una persona di colore ed il 13% del personale della Bbc (con 7,8% fra i manager) proviene da una minoranza.

Quanto al sistema penale, per numero di arresti la minoranza nera quasi triplica la popolazione di etnia caucasica ed asiatica; più o meno la stessa situazione per i procedimenti penali, le condanne e la popolazione carceraria.

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David Lemmy

Ecco perché il premier ha annunciato che David Lemmy, ex ministro laburista di colore, si occuperà del trattamento delle minoranze nel sistema penale, mentre ha intenzione di dare il via ad una legge che costringerà le università a fare maggiore chiarezza sul numero di persone e sull’etnia di quanti fanno richiesta di ammissione, tentando di persuaderli anche all’utilizzo di application form che non prevedano l’utilizzo del nome.

Dunque, David Cameron, l’antirazzista? Di sicuro la sua manovra contro l’establishment è ad alto rischio ma c’è chi non esclude il tentativo di accaparrarsi una fetta di voti laburisti. In ogni caso, è stato egli stesso a sollevare un interrogativo: Una persona su 10 fra i ragazzi bianchi più poveri accedono ad un alto livello di istruzione […]. Sono soltanto sintomi delle divisioni di classe o della carenza di pari opportunità? O è qualcosa di più radicato, insidioso ed istituzionale?”.

Senza dubbio, stando a queste dichiarazioni ed all’apertura del “Sunday Times” (un esempio fra tanti), il razzismo fa più notizia della scarsa mobilità sociale e l’allarme scatta per i neri che non accedono ai vertici e passano in secondo piano i dati sulle scarse opportunità dei bianchi appartenenti a quello che un tempo avremmo chiamato “proletariato urbano”. Bianchi o neri, infatti, in un paese che di recente ha mostrato tassi di disuguaglianza elevatissimi, il problema ha buone probabilità di esser dovuto ad un forte “classismo” della società inglese, in cui chi è povero rimane povero, non diventa ufficiale dell’esercito, manager di un’azienda e non prende la laurea ad Oxford. Del resto, in una nazione in cui i bianchi sono già una minoranza nella sua capitale, dove trovi donne col velo alla cassa di ogni attività commerciale, persone di colore alla guida di autobus, in metropolitana e che, più in generale, svolgono le stesse attività dei bianchi, un paese in cui interi quartieri sono arabi, africani o asiatici, si può seriamente parlare di razzismo?

Certo, la sotto-rappresentazione ai vertici è un fatto quanto lo è la ghettizzazione e le forti differenze tra Londra ed il resto del paese anche nella distribuzione etnica della popolazione. Ma le motivazioni sono tutt’altro che facili da individuare.

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La satira del “Sunday Times”

Perciò l’affondo, a cui la testata inglese ha dato ampia visibilità col titolo principale in prima pagina, non ha mancato di provocare la reazione stizzita delle università, in questo periodo al centro dell’attenzione dopo la decisione di Oxford di non rimuovere una statua dello statista colonialista Rodhes dalla facciata dell’Oriel college, come richiesto da alcuni studenti. Una decisione, tra l’altro, che secondo un assistente del premier non lo avrebbe trovato per nulla in disaccordo: “non puoi applicare i criteri del presente al passato”, sarebbe l’opinione, condivisibilissima, di Cameron.

Ma alle sue dichiarazioni, dicevamo, “le principali università hanno reagito furiosamente, affermando di aver già fatto molto per aumentare il numero degli studenti non bianchi”, riferisce il Sunday Times. Da Oxford, intanto, hanno sottolineato che il 13,2% dei laureati nel 2014 non erano bianchi, il 18% in altri istituti del Russel Group mentre 367 studenti appartenenti ad una minoranza etnica sono stati ammessi lo scorso anno, con un incremento del 15%. Inoltre, l’università sta pensando, in seguito alle recenti critiche, di inserire corsi specifici attraverso i quali approfondire la storia e le figure di riferimento delle minoranze etniche.

Cameron, d’altronde, ha fatto sapere di ritenere non risolutive misure di ripiego come l’istituzione di quote o altre soluzioni “politicamente corrette”.

Non rimane, a margine, che una riflessione: messa in conto la possibilità che non sia il razzismo ma un “classismo” senza distinzioni etniche la causa della sotto-rappresentazione delle minoranze, considerata anche la possibilità che le principali istituzioni cerchino invece di tutelare la purezza razziale della Gran Bretagna riservandosi i vertici dello Stato (teoria che non nasconde un certo complottismo) o che semplicemente il pregiudizio individuale influisca negativamente nelle decisioni (ma è razionale combattere per legge il pregiudizio?), è davvero possibile parlare di “valori condivisi” come ha fatto il premier e contemporaneamente dover inserire nelle università corsi specifici per raccontare la storia di un’appartenenza differente? È possibile parlare di uguaglianza e poi proporre di nascondere il nome e quindi l’identità di una persona nelle domande di ammissioni per evitare pregiudizi? È giusto costringere un imprenditore ad assumere qualcuno? Siamo sicuri che nei quartieri arabi o africani assumono bianchi nelle loro attività commerciali? Passeggiando per le strade “multietniche” di Londra sembra proprio di no.

“Il coinvolgimento dell’esercito inglese nelle guerre in Iraq e Afghanistan potrebbe non incontrare il gradimento delle comunità mussulmane o asiatiche. Ho assistito ai reclutamenti e le persone dicevano ‘Non approviamo quello che l’esercito sta facendo in Afghanistan. Non crediamo dovresti essere nell’esercito, prendendo parte a tutto questo’ ”, ha osservato il capitano Naveed Muhammad. “I reclutatori della polizia hanno incontrato resistenza da parte della popolazione di colore che sospettava pregiudizi. Ciò che Cameron definisce ‘valori condivisi’ potrebbero non esserlo quanto crede”, conclude in un pezzo d’approfondimento George Greenwook.

La questione, dunque, è più complessa di un facile titolo ad effetto sul giornale. Ed il sentimento d’appartenenza, probabilmente, è quello che fa concretamente la differenza. A dimostrarlo anche i recenti fatti di cronaca sul terrorismo islamico, che coinvolgono quasi sempre figli o nipoti di immigrati in Gran Bretagna, Francia e Belgio, paesi europei tra i più eterogenei etnicamente. E certo, neanche noi condividiamo gli interventi armati a guida statunitense in cui il nostro paese è coinvolto, ma per questo non cambia la nostra appartenenza, non per questo l’Italia smette di essere la nostra patria. Siamo sicuri che, quanto alle minoranze etniche in Europa, non sia stato già dimostrato il contrario?

Emmanuel Raffaele, 2 feb 2016

[1] “indice azionario che include le 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange”, Wikipedia

 

“Rimuovete la statua, era un razzista”: Oxford contro Rodhes

La Gran Bretagna guarda in faccia il suo passato imperiale. O almeno ci prova. Con una mostra promossa dal Tate Britain di Londra, uno dei principali centri espositivi del paese, dal titolo Artist & Empire – Facing Britain’s Imperial Past”. “La mostra”, che si concluderà il prossimo 10 aprile, spiegano gli organizzatori, “analizza il modo in cui le storie dell’impero britannico hanno influenzato l’arte del passato e del presente. All’interno dell’esposizione, alcune opere contemporanee suggeriscono, inoltre, che le ramificazioni dell’impero non si sono concluse”. Perché? “Le sue storie di guerra, di conquista e di schiavitù sono difficili e dolorose da trattare, ma la sua eredità è ovunque e riguarda tutti noi”. Molto semplicemente, dunque, perché la storia non si cancella. È parte del presente. Ed ogni censura ha in sé il germe dell’intolleranza politica e della violenza.

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