“One Nation Under God”: il paradosso identitario e l’estremismo religioso nel regno di Trump

Gran parte della destra occidentale è sempre rimasta ambigua sul tema del laicismo. Ma negli Stati Uniti, laddove la situazione di partenza è una religione che ha sempre conservato una forte influenza nella sfera pubblica e nella politica, si è ormai andati oltre.

In effetti, il rally dedicato a Charlie Kirk – con merchandising in vendita e fuochi artificiali costa definirlo cerimonia commemorativa – ha messo definitivamente in evidenza un paio di cose su cui vale la pena riflettere: la radicalizzazione religiosa in corso negli Usa ed il paradosso identitario implicito nella pretesa di difendere l’Occidente basandosi sul fattore religioso. E questo, purtroppo, non è solo un problema americano.

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“Latinos for Trump”: tra populismo americano e simpatie conservatrici in Europa

Le differenti prospettive della minoranza latina rispetto a quella afro-americana riguardano anche noi e l’immigrazione centro-sudamericana in Europa

[ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA “LA FIONDA”]

L’appoggio della popolazione latino-americana nei confronti di Trump, alle elezioni che lo hanno consacrato Presidente ormai quasi un anno fa, ha senza dubbio sorpreso chi non conosce il background politico-culturale della diaspora centro-sudamericana.

Il fenomeno dei “Latinos for Trump” ha fatto parlare molto negli Usa, ma ha soprattutto ribaltato molti stereotipi al di qua dell’Atlantico.

Come spiegarlo e perché questa analisi ci interessa da vicino?

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Giustizia per George Floyd, basta vandali, ipocriti e cattivi maestri

Secondo Statista Media Platform“, nel 2017, la polizia statunitense ha ucciso 457 bianchi e 223 neri; nel 2018 il rapporto è di 399 bianchi e 209 neri; infine, nel 2019 abbiamo 370 bianchi uccisi dalla polizia e 235 neri. Guardando al totale degli ultimi cinque anni, da gennaio 2015 sono morti per mano della polizia 2385 bianchi, 1252 neri e 877 ispanici (214 di altre etnie).
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In termini assoluti, quindi, la polizia americana uccide più bianchi che neri.
Ma, se guardiamo ai numeri in termini relativi, ovvero in proporzione al numero totale degli abitanti, scopriamo che, essendo la comunità nera ancora una minoranza negli Usa, dal 2015 abbiamo 30 morti per milione di abitanti tra gli afro-americani, 22 tra gli ispanici e 12 tra i bianchi (4 di altre etnie).
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Le cifre, così ponderate, rendono quindi un po’ meglio l’idea del perché la morte del 46enne George Floyd, lo scorso 25 maggio a Minneapolis, abbia scatenato le proteste e le accuse di razzismo alla polizia, ma anche la ragione per cui le manifestazioni proseguano nonostante l’arresto dell’agente di polizia responsabile dei fatti, Derek Chauvin.

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Che succede tra Siria e Turchia? E che combina Trump? Ecco le risposte che cercavi

Nato a Milano nel 1978, appassionato di scherma e geologia, Paolo Mauri concentra ormai da tempo i suoi interessi su temi di geopolitica e armamenti e proprio questa sua passione lo ha portato negli anni a collaborare con il “Il Giornale”, “Il Primato Nazionale”, “Tradizione Militare” e, soprattutto, con “Inside Over”.
Scaturito nel 2014 da un progetto de “Il Giornale” inizialmente battezzato “Gli Occhi della Guerra”, “Inside Over” produce reportage e approfondimenti in italiano e in inglese attraverso centinaia di giornalisti e freelance in tutto il mondo.
Paolo Mauri, attento studioso e lucido analista dello scacchiere internazionale, è uno di loro e oggi, grazie alle risposte che ci ha gentilmente concesso, proveremo a capire cosa sta accadendo tra la Turchia, la Siria, gli Stati Uniti e i curdi, con uno sguardo alla strategia trumpiana e ai grandi competitor Cina e Russia. Continua a leggere

Ieri su El País: “Radiografia di un suicidio politico”

Questa la foto di Matteo Salvini che, ieri, campeggiava a pagina 4 di “El Pais”

Per “El Pais” è tutto molto chiaro: “Dopo le elezioni europee, nelle quali la Lega ha dilagato in Italia, il Governo si è spaccato in tre blocchi: l’esecutivo di Salvini; quello di Luigi Di Maio, e un altro formato dal primo ministro, Giuseppe Conte, il titolare degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, il titolare dell’Economia, Giovanni Tria, e lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Da questo terzo polo, più istituzionale e vicino all’Unione Europea – spiega un deputato del Pd prossimo alle negoziazioni -, si è iniziato a tessere la trama della cosiddetta Operazione Ursula […]. Diffidente per natura, questa volta [Salvini, ndr] ha percepito indizi reali”. Continua a leggere

Venezuela: golpe o lotta di popolo?

Alicante (Spagna) – L’opposizione parla di oltre un milione di manifestanti, cifre difficili da confermare, certo, anche se le immagini sono forti: un fiume di persone in strada a Caracas contro Maduro, manifestazioni in altri ventitré stati del Paese, almeno nove morti, scontri e i venezuelani della “diaspora”, quelli che ormai lasciano la propria terra a decine di migliaia ogni giorno, a manifestare un po’ ovunque nel mondo. Non a caso, anche in Spagna, ad Alicante,  centinaia di cittadini venezuelani sono scesi in piazza a manifestare il proprio dissenso contro il presidente Nicolas Maduro, appoggiati da vari esponenti locali dei partiti presenti nel parlamento spagnolo fatta eccezione per quelli di “Podemos”.

Nel frattempo, in “patria”, Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea Nazionale – il parlamento venezuelano che Maduro ha di fatto cancellato, accentrando ogni potere attraverso la creazione di un’Assemblea Costituente, costretto quindi a farsi proclamare presidente poche settimane fa dal Tribunale Supremo, che a sua volta ha dichiarato illegittimo il parlamento – si è autoproclamato presidente del Venezuela ad interim, in attesa di nuove elezioni, dopo quelle contestate dalla comunità internazionale che avevano portato all’elezione di Maduro con una maggioranza risicata.

Maduro parla di golpe e, concedendo 72 ore di tempo ai diplomatici per lasciare il Paese, annuncia la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa di Trump, primo paese a riconoscere la presidenza di Guaidó, seguito dal Canada di Justin Trudeau, dal Brasile di Bolsonaro e poi anche da Colombia, Ecuador, Perù, Guatemala, l’Argentina, Costa Rica, Cile e Paraguay hanno riconosciuto il presidente autoproclamato, al contrario di quanto hanno fatto, in funzione anti-Usa, il Messico e la Bolivia di Evo Morales. Continua a leggere

La carovana di migranti che sfida la sovranità degli stati: migliaia in marcia per attraversare il confine Usa

Le prime centosessanta persone sarebbe partite il 12 ottobre scorso da San Pedro Sula, in Honduras, una delle città con il tasso di omicidi più alto al mondo, ed in pochi giorni avrebbero raggiunto il Guatemala per poi arrivare, in poco meno di due settimane, a Ciudad Hidalgo, in Messico.

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Tutti contro Trump: niente inchino all’imperatore giapponese. Ma i Clinton hanno fatto la stessa cosa (e non sono i soli)

Ieri, a seguito della visita del presidente statunitense in Giappone, sulle testate giornalistiche online circolavano titoli del genere: “Il Giornale”: “Lo schiaffo di Trump all’imperatore del Giappone: niente inchino“. Rai News: “Donald Trump incontra l’imperatore e rompe l’etichetta: non si inchina e cerca il contatto fisico”. Il Fatto Quotidiano: “Trump ne combina un’altra. The Donald calpesta il cerimoniale davanti all’imperatore del Giappone”. Sky Tg24: “Trump non concede l’inchino all’imperatore giapponese”. La Stampa: “Trump ricevuto dall’imperatore del Giappone non si inchina”.

Ma è davvero così strano, inusuale, maleducato e “trumpiano” che il presidente Usa non si sia inchinato di fronte all’imperatore del Giappone Akihito, in carica dal 1989?  Continua a leggere

Nel mondo scoppia il caso “Paradise Papers”: maxi-fuga di notizie dai paradisi fiscali

Il sito di “The Guardian”, oggi, ha una “prima pagina” tutta particolare. In primo piano, a schermata intera, ci sono le reazioni live e le miriadi di approfondimenti che seguono e seguiranno ancora alla diffusione di ben tredici milioni di files, trafugati agli studi legali off shore di Appleby (nato nelle Bermuda, ha sue filiali in altri nove paradisi fiscali) e Asiaciti Trust (sede principale a Singapore ed altre sette sparsi tra Panama, Samoa, Hong Kong e le isole Cook). Recuperati dalla testata tedesca “Süddeutsche Zeitung“, i documenti in questione sono stati condivisi con l’Icij (International Consortium of Investigative Journalists), Consorzio internazionale di giornalisti investigativi del quale fanno parte anche la Bbc, Le Monde e il New York Times. Con file per 1,4 terabyte, quella relativa ai “Paradise Papers” è la seconda più grande fuga di notizie a livello mondiale, dopo i Panama Papers del 2016 (2,6 terabyte), con uno stacco importante rispetto al caso WikiLeaks del 2010 (1,7 gigabyte). Basti pensare che i file “desecretati” coprono un periodo che parte addirittura dal 1950 per arrivare al 2016. Partner dell’Icij, in Italia sarà l’Espresso a pubblicare maggiori dettagli sull’inchiesta – della quale si sono occupati 380 giornalisti in 67 paesi – nel numero della prossima settimana. Nel frattempo sono ovviamente trapelate varie indiscrezioni. Continua a leggere

Bannon: “L’Europa è un protettorato americano, neanche ci prova a difendersi da sola” [VIDEO]

Quando intorno a metà agosto aveva lasciato la Casa Bianca ed il suo incarico di consigliere ufficiale del presidente Donald Trump, il discusso Steve Bannon aveva fatto una promessa: “tornerò, da fuori posso combattere meglio“. E così ha fatto, tanto che, dopo aver ripreso il ruolo di direttore di Breitbart, nelle scorse ore Bannon ha tenuto un lungo discorso nel corso di una convention repubblicana in California, difendendo Trump a spada tratta. Un discorso utile a capire il rapporto di Trump con Bannon e con l’ “estrema destra” americana senza altri filtri che quello del realismo politico.

E’ un discorso che trasuda realismo politico, in effetti, quello di Bannon il quale, nonostante la “separazione”, rivendica ancora la sua fedeltà al presidente: “sono orgoglioso di essere la sua spalla qua fuori”. La Corea del Nord, negli oltre quaranta minuti del suo intervento, non viene mai nominata. La questione che secondo molti aveva condotto alla rottura (Trump aperto ad una soluzione militare, Bannon a dir poco critico) viene esplicitamente evitata. E’ senz’altro un tasto dolente ed ecco perché viene liquidata come una delle tante cose sulle quali sarebbe normale essere in disaccordo nell’ambito di una coalizione. Bannon, infatti, punta tutto su una priorità, il nazionalismo economico, e su un metodo, una coalizione stabile tra conservatori, populisti e nazionalisti. Continua a leggere