Chico Forti è colpevole? Ecco tutto quello che c’è da sapere

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Tutto quello che c’è da sapere sul caso Chico Forti, le reazioni al suo rientro, le polemiche per il titolo de “Il Fatto Quotidiano” e il perché, in ogni caso, il suo rientro è una buona notizia.

Nessuno, dotato di onestà intellettuale, può obiettivamente affermare di conoscere con certezza la verità sulla colpevolezza o innocenza di Chico Forti.

Come vedremo, le teorie sull’argomento sono diametralmente opposte e molte sono le contraddizioni su elementi oggettivi dovute probabilmente alla difficoltà di reperire fonti di prima mano.
Le varie ricostruzioni, sia difensive che colpevoliste, potrebbero non aiutare a far pendere decisamente la bilancia da una parte o dall’altra.

Ma è una cosa in effetti è certa, la difesa di Chico Forti non ha mai pubblicato i verbali del processo, completamenti assenti dalla pagina web ufficiale a sostegno di Chico Forti. Ed è su questo elemento, del resto, che insisteva proprio ieri Selvaggia Lucarelli nel suo intervento su “Il Fatto Quotidiano“.

Sta di fatto che, da quel 15 giugno dell’anno 2000 in cui viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Dale Pike avvenuto due anni prima (il 15 febbraio del 1998), l’ex surfista e produttore trentino continua a dichiararsi innocente, sostenuto nella sua rivendicazione da personaggi dello spettacoli di primissimo piano (tra i quali Andrea Bocelli). Ma a dichiararlo unanimemente colpevole è stata invece una giuria popolare americana composta da ben 12 persone. E, da allora, diversi tentativi di opporsi alla sentenza sono stati respinti.

LE POLEMICHE DOPO IL RIENTRO

Dopo il rientro di Chico Forti in Italia, avvenuto ieri a Pratica di Mare (Roma), a far discutere sono state però soprattutto due cose: da un lato la calorosa accoglienza ricevuta in aeroporto dal capo del governo Giorgia Meloni e, dall’altra, il titolo che “Il Fatto Quotidiano” ha dedicato all’episodio, “Benvenuto assassino“.

Le critiche provenienti dal giornale diretto da Marco Travaglio non erano però rivolte tanto al rientro di Forti in Italia, garantito dalla Convenzione di Strasburgo del 1983 (che permette ai condannati in via definitiva di scontare la pena nel proprio Paese), quanto appunto all’opportunità dell’accoglienza da parte della Meloni.

In particolare, Padellaro notava:

“Legittimo e comprensibile che Giorgia Meloni si sia dichiarata “fiera del governo” per avere ottenuto dalle autorità americane il trasferimento in Italia di un cittadino italiano. Ma quando è il presidente del Consiglio in persona ad accogliere chi è stato condannato all’ergastolo dalla giustizia americana, in un Paese cioè dove, fino a prova contraria, vige lo Stato di diritto, almeno un paio di interrogativi sorgono spontanei.

Giorgia Meloni (e l’esultante Guardasigilli Nordio) è corsa a Pratica di Mare perché convinta che Chico Forti sia vittima di un clamoroso errore giudiziario? E che dunque, grazie al governo italiano, egli sia stato sottratto a una detenzione atroce e ingiusta? In questo caso ci faccia sapere su quali basi ella, Giorgia Meloni, nutra un simile convincimento. Perché se nel governo italiano nessuno, al momento, può giurare sull’innocenza di Chico Forti egli resta pur sempre il colpevole di un grave omicidio, tanto è vero che sarà trasferito nel carcere di Verona per continuare a espiare la pena”.

Più incalzante, come anticipavo, Selvaggia Lucarelli:

“Nel metaverso succede che la nostra presidente del Consiglio, quella che non muove un dito per fermare la carneficina a Gaza, vada ad accogliere Chico Forti in aeroporto, dopo aver organizzato il suo rientro in Italia con un jet dell’aeronautica militare. E lo accolga con tutti gli onori: sorrisi, tweet ufficiali e l’immancabile foto di rito“.

Poi, schierandosi senza mezzi termini dalla parte della versione ufficiale, attacca: “Nel 1998 [Forti, ndr] ha sparato in testa con una calibro 22 a un uomo, Dale Pike, per un affare immobiliare saltato all’ultimo momento. Ha lasciato la vittima nuda, in un boschetto, per simulare un omicidio a sfondo sessuale. Ha cercato disfangarsela mentendo alla polizia e pure a sua moglie dicendo che non aveva mai incontrato quell’uomo per poi – davanti a prove schiaccianti – ritrattare. Aveva un movente, non aveva un alibi, possedeva una pistola calibro 22 e sia i tabulati telefonici sia la sabbia trovata nella sua auto (che lavò accuratamente dopo l’omicidio) lo collocarono sul luogo del delitto. E’ stato condannato all’ergastolo, si è sempre detto vittima di un complotto della polizia, ma ha sempre negato l’autorizzazione a pubblicare il verbale del processo“.

LA CONDANNA DI CHICO FORTI

Questa versione, del resto, è la versione ufficiale e su un paio di cose sembra che non si possa obiettare: i verbali processuali, come dicevamo, non sono mai stati pubblicati e Chico Forti ha sempre ammesso di aver mentito alla polizia, dichiarando inizialmente di non aver visto Dale Pike il giorno della sua morte.

Dice di averlo fatto per paura. Ma i colpevolisti fanno però notare appunto che la stessa bugia era stata detta, prima delle dichiarazioni alla polizia, anche alla moglie ed al padre di Dale Pike.

La verità è che, in effetti, era stato proprio lui a recarsi in auto all’aeroporto di Miami per poi accompagnarlo – secondo quanto raccontato successivamente da Forti – ad un appuntamento in città nei pressi di un ristorante. Proprio nei pressi di questo ristorante sarebbe stato ucciso quella sera stessa. Con una pistola calibro 22 come quella comprata da Forti e intestata al suo amico truffatore tedesco Thomas Knott. E poi abbandonato nei pressi di una spiaggetta la cui sabbia pare sia identica a quella ritrovata nell’auto di Forti, lavata proprio nelle ore successive all’omicidio.

Secondo gli innocentisti, Forti sarebbe stato vittima di un raggiro da parte del padre di Tony Pike, leggendario proprietario del famoso Hotel Pike di Ibiza. Quest’ultimo, con l’aiuto di un losco truffatore tedesco, il già citato Thomas Knott, avrebbe tentato di vendere a Forti gli hotel ormai pieni di debiti e la cui proprietà non sarebbe più neanche appartenuta realmente a Tony Pike. E la causa del delitto sarebbe quindi da ricercare eventualmente negli interessi di Knott, che in effetti aveva sottratto a Tony Pike decine di migliaia di dollari attraverso carte di credito a lui sottratte.

I colpevolisti, invece, sostengono che ad essere vittima di un raggiro da parte di Forti e Knott sarebbe stato proprio Pike senior, a cui Forti sarebbe stato introdotto per fargli comprare gli hotel di Ibiza a un prezzo irrisorio, approfittando della demenza di Pike. E che, proprio per questo, il figlio Dale sarebbe volato negli Usa per parlare personalmente con Forti (e forse sincerarsi delle possibilità economiche del compratore che, secondo quanto testimonierebbe un documento, avrebbe accordato la vendita per la cifra modestissima di 25mila dollari).

[Il video di George Micheal girato proprio al Pike Hotel di Ibiza]

La vicenda non è per nulla chiara sul tema: per la giustizia americana non c’è dubbio sul tentato raggiro, per gli innocentisti il raggiro sarebbe stato ai danni di Forti. Non c’è invece dubbio sulla truffa di Knott ai danni di Pike, per cui il tedesco – amico e vicino di Forti – è stato condannato.

Gli innocentisti d’altra parte sottolineano come l’accusa di frode (e quindi il movente) sia stata fatta cadere dalla giustizia americana senza però che l’assenza di movente cambiasse le sorti del processo. Ma i sostenitori della versione ufficiale spiegano invece che la condanna per “felony murder“, ovvero omicidio durante l’esecuzione di un altro crimine, abbia semplicemente assorbito il delitto di frode, un modo per non appesantire il processo in presenza di un delitto più grave quale l’omicidio.

LE TEORIE DEL COMPLOTTO

[Il docomentario di Chico Forti sulla morte di Gianni Versace: “Il Sorriso della Medusa“]

Sulla questione i complotti si sprecano.

I colpevolisti parlano di un investigatore che accusa Forti di aver provato, in passato, ad assoldare un killer per uccidere un avvocato.

Gli innocentisti riferiscono invece di una donna, giovanissimo membro della giuria che condannò Forti, la quale giura di essere stata costretta attraverso pressioni a votare per la condanna dell’italiano contro il quale, secondo lei, non ci sarebbero state prove sufficienti.

E riportano addirittura la tesi di un Forti che si era fatto nemico la polizia di Miami con il suo breve documentario (mai trasmesso negli Usa) sulla morte di Versace, in cui accusava appunto la polizia di Miami di aver occultato la verità e non aver portato alla luce il vero assassino.

Sulla pagina di Wikipedia dedicata all’Hotel Pike, che Tony Pike ha continuato a gestire ancora per molto anni dopo la morte del figlio, si fa riferimento alle tesi innocentiste dei media italiani, sostenute solo dalle ragioni della difesa. D’altra parte, anche negli Usa è recentemente apparso un articolo che perlomeno si interroga sulla verità giudiziaria.

INNOCENTISTI E COLPEVOLISTI

Per capire come le versioni sul caso siano così diverse, ecco alcuni esempi diametralmente opposti: Le Iene sposano la tesi innocentista, Giornalettismo dettaglia le contraddizioni della difesa.

Navigando su YouTube è possibile trovare le note tesi innocentiste di Roberta Bruzzone e quelle altrettanto diffuse del “colpevolista” Andrea Lombardi.

Nel 2020 è invece Fan Page a chiedere se Chico Forti non sia davvero colpevole.
Nel marzo di quest’anno, su Today, è possibile trovare un percorso tra teorie innocentiste e colpevoliste. Mentre uno degli “attacchi” più forti alle tesi innocentiste si trova sul blog di Daniele Barbieri, a parte delle tesi proposte sulla web della rivista Obiettivo Investigazione.

Senza dubbio, le tesi difensive esposte su http://www.chicoforti.com e in giro per il web sembrano effettivamente poggiare più sul complottismo (il documentario su Versace, l’avversione della polizia) che su elementi oggettivi, mentre gli elementi oggettivi presentati non sono in genere supportati da prove.

IL GARANTISMO E’ SEMPRE UNA BUONA NOTIZIA

Ma è bene ribadire che gli errori giudiziari accadono, che la verità ufficiale non è sempre oro colato e che molto spesso anche le sentenze poggiano su sensazioni e stereotipi molto più di quanto possiamo pensare. Una bugia, una pistola e un paio di coincidenze ti possono costare la verità.

Se c’è una buona notizia, dunque, è il garantismo che, nel nome del diritto di ciascuno alla libertà ed al giusto processo, opportunamente o meno, è scaturito dal caso Forti.

Sta di fatto che Chico Forti – nato a Trento nel 1959, vincitore di 80 milioni su Tele Mike nel lontano 1990, trasferitosi poi a Miami per provare a inserirsi nel mondo degli affari (immobiliari e televisivi soprattutto) – da due giorni è tornato ed ora dovrà scontare il resto della pena in Italia.

E questo, probabilmente, gli permetterà non solo di star più vicino alla sua famiglia, ma anche di godere forse in futuro di sconti di pena o permessi premio.

Questo sembra, almeno,  attendersi la difesa, che ha ripetutamente ringraziato Giorgia Meloni per l’interesse dimostrato e l’indubbia diplomazia spiegata per riportarlo nel nostro Paese dopo il tentativo – annunciato in fretta come un esito e poi malamente fallito – di Di Maio.

Dopo oltre due decenni di detenzione e con il suo rientro in Italia ormai avvenuto, si spera adesso che la questione sulla sua innocenza o colpevolezza venga finalmente messa da parte.

Perché, in ogni caso, la notizia del suo rientro – se non altro in nome dei diritti dei detenuti e, appunto, del garantismo – è comunque una buona notizia.

Si spera ora che lo stesso sforzo, la stessa attenzione e possibilmente una maggiore celerità siano riservati a tutti i detenuti italiani nel mondo, colpevoli o innocenti che siano.

Perché una comunità non è quella che difende a priori un suo componente, ma è certamente quella che c’è sempre quando è necessario far valere i suoi diritti legittimi.

Emmanuel Raffaele Maraziti

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