Poco meno di una settimana fa, sul sito www.l’inkiesta.it, il direttore Francesco Cancellato si chiedeva indignato: “A questo annuncio non risponde nessuno: dove sono finiti tutti i disoccupati?“. L’annuncio in questione riguardava la piccola catena di negozi di panetteria Pattini a Milano che, nonostante l’affissione nei cinque punti vendita distribuiti in città (dei quali uno sul centralissimo corso Garibaldi), secondo il titolare Angelo Pattini, non riusciva a coprire i cinque posti in ciascuno dei suoi esercizi commerciali. Nessuno, a quanto pare, era disposto a fare il barista, la cassiera, la commessa, il panettiere, il pasticcere o l’addetto alle pulizie.
Strano, vero? Dal momento che le candidature in genere fioccano rispetto ai posti effettivamente disponibili ogni qualvolta si presenta una possibilità e gli stessi giornali non fanno altro che evidenziare come a candidarsi per posizioni poco qualificate siano in molti casi anche giovani laureati, si, molto molto strano. Eppure, il direttore del giornale online non ci pensava due volte a dar credito alle parole del titolare che accusava: “i curriculum arrivano ma i problemi iniziano al colloquio. Cerchiamo una cuoca che affianchi la nostra, per darle una mano, ma nessuna vuole farlo. Avevamo preso un barista, ma ha rifiutato un contratto perché altrimenti perdeva i 700 euro di disoccupazione. […] Un’altra ha rifiutato il lavoro perché mi ha detto che da piazzale Loreto a qua ci metteva troppo tempo ad arrivare”. E non solo Cancellato dava credito assoluto all’imprenditore quanto, sprezzante, rincarava ancora di più la dose nelle conclusioni: “Forse è vero che gli immigrati vengono a fare cose che noi non vogliamo più fare. Ad esempio, lavorare“.
La faccenda era stata così ripresa da Milano Today, dal Corriere, da Repubblica. Quella degli italiani fancazzisti, che non hanno voglia di lavorare al contrario degli stranieri, del resto, è una bufala di quelle che vanno di moda e alimentano l’armamentario ideologico che vuole trovare a tutti i costi il modo per giustificare l’immigrazione di massa.
Poi, però, succede qualcosa: dopo la pubblicità social, il forno annuncia di essere sommerso di richieste e, addirittura, di avere già assunto le persone che gli servivano. Così, su due piedi, all’improvviso gli italiani hanno di nuovo voglia di lavorare e cercare qualcuno disposto a farlo non sembra più un’impresa eccezionale. Milleduecento i curricula arrivati. Martedì l’articolo, giovedì le assunzioni, venerdì già il cartello era sparito. Misteri italiani? Non proprio. Evidentemente chi ha bisogno di lavorare lavora e della retorica indignata dei signori Pattini, Cancellato e di tutti quelli come loro, a questo punto, ne faremo volentieri a meno. Addirittura, in corso Garibaldi, su sei assunti, ben quattro sono italiani. Il racconto mediatico e l’indignazione che aveva tentato di cavalcare Pattini faceva acqua da tutte le parti e, paradossalmente, a dimostrarlo è stato lui stesso.
E così, ai dubbiosi, il titolare spiega di offrire la paga sindacale. Si parla di 1400 euro per un fornaio, anche se non viene definito l’orario di lavoro (sui social c’è chi parla di offerte ricevute per 4 euro l’ora), né la cifra per gli altri ruoli, quelli definiti di “interazione”. Il titolare, in un primo momento, insisteva con la formazione offerta ma, al tempo stesso, l’annuncio prevedeva l’esperienza tra i requisiti fondamentali. Il barista accusato di aver rifiutato per prendere la disoccupazione, per esempio, non era un giovane svogliato e viziato, ma un uomo di 55 anni. E, soprattutto, una delle ragazze assunte – Valentina, 34 anni e tre figli – aveva inviato il cv già ad ottobre, per essere assunta soltanto in seguito al clamore mediatico sollevato: “Mercoledì, leggendo la storia sui giornali, ho chiamato per chiedere spiegazioni. Sono stata convocata per il colloquio giovedì e mi hanno assunta”.
Insomma, si è giocato un gioco sporco, tirando conclusioni sulla base di fatti poco chiari. Colpa non tanto di Pattini, quanto chi ha ritenuto legittimo professionalmente scrivere un articolo simile (uno come tanti che si legge sui giornali italiani) fondato su affermazioni generiche. Ad esempio, nel caso a qualcuno sia stato offerto un contratto di apprendistato con stipendio crescente (come spesso avviene nel settore), la retribuzione di partenza, per più di un anno, avrebbe potuto essere ben al di sotto della cifra definita. E non è detto che una persona con esperienza fosse tenuta ad accettarlo. Così come è vero che un panettiere, il cui lavoro è particolarmente usurante e con orari spesso notturni e turni molto lunghi, può arrivare a guadagnare anche di più.
Tutte questioni non affrontate nei dettagli, dettagli usati invece per screditare gli italiani sulla base di pochi esempi. Tanto che, ora, Pattini, accusato di aver soltanto cercato pubblicità, intervistato da Vice, aggiusta il tiro: “Io non intendevo dire che gli italiani non hanno voglia di lavorare: non hanno più voglia di fare questi lavori. Presto anche i tramvieri diventeranno stranieri”. Pattini e Cancellato, insomma, hanno cercato di infangare gli italiani basandosi su un fatto ovvio: la concorrenza degli italiani con i lavoratori con aspettative di guadagno, formazione e pretese inferiori, proprio in ragione del mercato del lavoro ancor più duro nei paesi di provenienza. E non servivano né Pattini né Cancellato per dirci che uno straniero è disposto ad accettare stipendi più bassi rispetto ad un italiano, anzi, è proprio questo il punto. Non servivano loro per dirci che gli stranieri sono più presenti nei settori meno qualificati. E’ il mercato del lavoro ed il gioco al ribasso (anziché al rialzo) possibile proprio grazie ad una disponibilità di manodopera straniera sempre più numerosa. Non c’è una cifra che si è moralmente obbligati ad accettare, quanto un bisogno concreto di fronte al quale si è obbligati a farlo. Funziona così. Ed è il mercato del lavoro stesso ad abbassare le pretese quando l’offerta di lavoro maggiormente qualificato e più pagato diminuisce. E, del resto, siamo sicuri che, come dimostrano i fatti, di italiani “costretti ad accettare” ce ne sono parecchi. Ma è la politica soltanto che può decidere di assecondare la concorrenza al ribasso mettendo a disposizione stranieri a non finire anziché far lavorare gli italiani.
Emmanuel Raffaele
…il caso ricorda molto ‘i ristoranti pieni di gente’ di qualche tempo fa, quando il 30% dei locali aveva chiuso per la crisi e le pizzerie, solo alcune pizzerie, erano piene di sabato sera…